Marketing e Storytelling: l’Arte di Raccontare un Brand

A metà anni Novanta, sulla falsariga di un’evoluzione che cominciava a mettere la logica dell’advertising come racconto di una storia di successo, entra in gioco nel business la dinamica della cosiddetta corporate theme. Nasce la mission aziendale, un manifesto di idee che può appartenere sia a multinazionali come Coca-Cola e Microsoft che a piccole startup, agenzie e brand in cerca di ritagliarsi il proprio posto nel mondo in cui vogliono vendere.

Qual è stato il vero significato di questo input?

Che la comunicazione dell’azienda, per distinguersi, ha cominciato a creare il racconto da cui è nata. In modo creativo e certosino, il lavoro è realizzato per creare un dialogo col proprio pubblico, oltre che per piantare i semi verso un vero e proprio placement nel settore di riferimento. Una svolta che, a conti fatti, integra all’interno della fredda logica del mercato pubblicitario l’apporto dei significati, le intenzioni e persino emozioni del lavoro dietro un brand.

La logica dello storytelling nel marketing diventa quindi molto semplice, scovando risposte nell’eterna battaglia tra cuore e mente. Questo perché, banalmente, il marketing nudo e crudo ragiona sulla testa delle persone, sui dati, sull’analisi. Lo storytelling deve agire sul cuore, sulle emozioni, sulla trama del messaggio. Modellare in maniera dinamica ed effettiva le due, farle comunicare e pensare sullo stesso binario, significherà molto probabilmente aver realizzato una struttura solida e vincente.

L’arte di raccontare storie di brand è intesa come fondamentale tecnica, è un espediente da giocarsi bene per rendere la comunicazione più coinvolgente e accattivante.

E parte da tre essenziali domande.

Il Golden Circle dello Storytelling

La fenomenologia dello storytelling marketing parte da metafore ben studiate, concetti con cui l’azienda incorpora la sua storia nella vita dei consumatori, puntando la luce sull’eccellenza di essere veri, di essere umani e, se il racconto è stato efficace, in qualche modo più speciale degli altri competitor.

Sì, anche il marketing è fatto di emozioni e non solo di grafici statistici. Dalla scelta del linguaggio alla forza delle immagini, tutto ha necessità di far muovere la percezione. Per dare il valore giusto a quelle emozioni, però, qualsiasi sia l’azienda e qualsiasi siano il suo background e il suo mercato, deve ottenere risposta ferma alle tre fatidiche domande attorno cui tutto ruota. Quelle che, per propagare lo storytelling di business è definito comunemente Golden Circle, il concetto partorito dall’autore Simon Sinek in uno dei TEDTalks più cliccati di sempre, “How great leaders inspire action”.

  • COSA?
    Prima di tutto, si spiega la filosofia e il modo di essere azienda, il prodotto e la missione.
  • COME?
    Risponde al modo in cui si mette in pratica la necessità e il core value, che sarà destinato al cliente, in maniera unica.
  • PERCHÉ?
    Perché c’è bisogno di raccontarne la storia? Viene inserito nel racconto ogni spunto utile per cui i valori e le capacità si distinguono.

La struttura, organizzata attraverso queste tre domande, delimita quindi il metodo di comunicazione instaurato dall’azienda per spiccare sul mercato a cui appartiene. Se ci fermassimo un attimo a pensare a com’è stata sfruttata negli ultimi anni la retorica creativa dello storytelling e come – in molti casi – sia stata anteposta addirittura a tutto il resto, faremmo fatica a non trovare esempi lampanti, che avevamo quasi preso per scontati, per quanto radicati in maniera influente nell’impatto comunicativo di alcune aziende.

Lo storytelling è diventato lentamente e inesorabilmente un cruciale boost per la personalità del marchio, viene associato crucialmente alla strategia di vendita. Perché, in fin dei conti, si tratta di un’arte che ha bisogno di camminare di pari passo al marketing, di crearne l’immagine identificativa dietro i suoi numeri.

Ma prima ci sono le idee.

L’arte di raccontare un brand

Come si racconta allora un brand? E cosa significa raccontarlo bene, ottenendo un riscontro deciso alle tre domande da cui siamo partiti?

Di solito, vuol dire utilizzare la metafora dell’azienda per parlare del mondo contemporaneo, contestualizzandolo e plasmandolo sul ruolo che il proprio brand ricopre su quel preciso settore. Sia esso la tecnologia, il benessere, la moda, lo sport, l’arredamento, la tecnologia: tutti possono dire perché hanno iniziato a fare qualcosa di diverso, qualcosa che li distingua e infine spinga i consumatori a ottenere risposte.

Vuol dire quindi, prima di tutto, creare – e man mano sottolineare – una personalità, un carattere, un temperamento ben preciso. Tutte componenti che, in buona sostanza, possono evolvere e cambiare nel corso del tempo e della domanda, ma che lasciano intatta una certa dimensione, se essa stessa è stata realizzata con grande astuzia ed estro, al momento di lancio.

Barilla negli anni Ottanta ha creato un intramontabile claim – “dove c’è Barilla c’è casa” – capace di rendere l’immagine dietro ciascun prodotto il più naturale e genuina possibile, quello che si trova nelle piccole cose quotidiane, a casa, in famiglia. In maniera analoga ha agito Mulino Bianco, che attraverso i payoff “un mondo buono” e “il mulino che vorrei” cicatrizza la necessità – e al tempo stesso l’estrema facilità – di sentirsi appagati delle cose più semplici, a partire dalla colazione. Dagli anni Novanta in poi la loro storia, grazie anche al boom incontrastato della televisione e degli spot pubblicitari, ha ruotato attorno alla trama che questi avrebbero scelto per la narrazione dei propri prodotti.

Ciò da cui dipende, in modo molto simile, l’arte di Nike di veicolare il proprio messaggio, che non è solo commercializzare scarpe, apparel sportivo e abbigliamento tecnico, ma la promozione di un’esperienza, di un crescendo di innovazione, dell’ambizione per il successo che indossare il marchio ti permette. E immancabilmente, in questo lotto, non può che far parte anche Apple, regina dello storytelling marketing fatto su misura delle emozioni, specie della parte posteriore del nostro cervello: dalla mitologia che circonda la mela morsicata all’evoluzione stilistica dei mezzi di comunicazione (che si trasformando da “plus” a “must”), l’azienda ha, nel corso dell’inarrestabile ascesa del padre fondatore Steve Jobs, inserito nella tecnologia la necessità di raccontare, dialogare, crescere insieme a chi la possiede.

Dal primo iPhone a oggi, le presentazioni di un nuovo smartphone sono uno show, curato a tutti gli effetti come un prologo teatrale o un programma televisivo. Perché da quel momento ci si gioca già una buona fetta del successo del prodotto stesso. Letteralmente, quei casi in cui lo storytelling del marchio è riconosciuto come un tutt’uno con il consumatore finale, a prescindere da ciò che rappresenta il prodotto.

Ma cosa succede dopo?

Il marketing dopo lo Storytelling

Cosa c’è dopo lo storytelling? Cosa succede dopo aver raccontato il proprio marketing e averlo fatto diventare relazione umana col proprio cliente? Ci sono due punti che incidono più di tutti, ma che sostanzialmente si declinano a infinite varianti da settore a settore.

Quali tipi di storie fanno appello alle tue personas? Stare vicino all’arte della narrazione emotiva e umana è sinonimo di successo se si parte dalla psicologia: conoscere i tuoi consumatori significa saper narrare meglio, ora e dopo, ciò che possa colpirli. Anche per chi comincia da zero, interrogarsi sul terreno in cui si andrà a colpire fa già parte di metà del lavoro sulla propria immagine.

La connessione con le persone si costruisce sulla lingua che capiscono meglio, quella che parla del brand insieme alle persone: il marketing è un linguaggio che preme a farti agire, a prescindere dal contesto, ma ha bisogno degli spazi per comunicare bene. Fare uso di storytelling diventa, col tempo, una combinazione tra scienza e arte, un asset a cui fare riferimento anche per plasmare il prodotto. Ricordo e azione, stimolo ed evento. Chi non ricorda, ad esempio, lo spot natalizio di Coca-Cola e il modo in cui il suo rosso distintivo si associa, di anno in anno, al periodo festivo?

Storytelling è quindi parlare senza filtri, ritagliarsi una dimensione associativa, ma farlo bene: un linguaggio e una presenza che possano stimolare la partecipazione attiva dei clienti all’interno del mondo del brand – e non solo nella natura di passaggio dell’acquisto – e un dialogo con tutto ciò che quello stesso pianeta può realizzare al suo esterno. Significa costruire racconti che plasmino l’identità dell’azienda prima, dei consumatori che vi si identificheranno, dopo.

Impresa dura? L’inchiostro per scrivere storie nuove, di successo, di certo non manca.

Ma come abbiamo visto, le idee per uno storytelling di brand che funzioni davvero, non nascono mai da qualcosa di scontato.

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